Concepita come un dispositivo che vuole porre l’attenzione sul riutilizzo e sul rinnovo di materiale organico o inorganico, di elementi della vita comune e di quel prodotto throw-away che ha caratterizzato il Novecento e che marchia ancora massicciamente – tra usi e abusi d’ogni sorta – il nostro distratto e ormai poco comprensibile scorrere quotidiano, UpCycle (termine coniato nel 1994 dall’ingegnere meccanico Reiner Pilz in un’intervista rilasciata a Thornton Kay e apparsa sulla rivista Salvo – «What we need is upcycling where old products are given more value not less») si pone come un momento di riflessione sulle strategie adottate nel campo dell’arte per reinventare il mondo con frizioni creative e azioni estetiche al cui interno è possibile ritrovare una procedura tagliente attraverso la quale leggere il farsi e disfarsi costante di materie (e di discipline) differenti.
Portavoce di nuove speranze, l’artista è, in questo contesto che mira a «riutilizzare gli oggetti per creare un prodotto di maggiore qualità» (reale o anche soltanto percepita), cervello veloce la cui rapidità preme sugli spazi interstiziali della comunicazione planetaria e sugli ormai del tutto isterici disegni del consumo immediato (organismo saturo di sovrabbondanze) per rigenerare il sistema descrittivo degli oggetti quotidiani. Dotando di nuova vita una merce scarica di valore e del tutto irrecuperabile – trasformata il più delle volte in scoria mostruosamente straniera, in detrito metropolitano, in triste e oscena materia inerme –, l’artista attua una rifamiliarizzazione con le cose del mondo per ritemprarle, riportarle a nuova vita, riadattarle e riadottarle, ricaricarle e amplificarle, inserirle (anche utilizzando la strategia del «nuovo feticcio trionfante» rilevata da Baudrillard) nuovamente nel mondo: e non seguendo la traiettoria commerciale per cui erano state inizialmente prodotte, piuttosto definendo un processo parallelo che rispedisce nel mondo del consumo oggetti – o materie con una (ormai loro) personale memoria – ritemprati e a cui viene dato con nuovo valore di scambio, un nuovo impatto simbolico, una nuova (riflessiva) significazione.