L’atto di oltrepassare un limite (materiale o immateriale), colto nella sua processualità, e soprattutto le molteplici dinamiche con cui può esso essere osservato, registrato e rappresentato è il tema metaforico della mostra allestita nella Chiesa di San Matteo a Lucca dal 10 al 30 settembre, promossa dalla Prometeogallery di Ida Pisani.
L’iniziativa prende spunto dalla recente mostra “Il passo sospeso. Esplorazioni del limite”, svoltasi dal 23 giugno al 3 settembre alla Fondazione Ragghianti, con opere collocate anche sulla cerchia muraria e in numerosi siti del centro storico di Lucca.
Un nucleo di artisti internazionali riflette sul concetto di limite e su quello connesso di confine, nelle loro declinazioni storiche, filosofiche, etiche, politiche, e soprattutto sulla natura convenzionale della rappresentazione e sugli effetti prodotti dalle tecnologie massmediatiche sulla produzione di immagini.
Tra questi, Regina José Galindo, Mary Zygouri, Hiwa K, Stefanos Tsivopoulos, attualmente protagonisti della prestigiosa rassegna internazionale Documenta 14 a Kassel (Aníbal López (A1-53167), presente nella precedente edizione nel 2012) e Atene.
Ma anche altre figure come gli spagnoli Santiago Sierra – reduce da una mostra antologica al PAC di Milano – e il collettivo madrileno Democracia, la colombiana Maria José Arjona, il rumeno Ciprian Mureşan, gli albanesi Edson Luli e Driant Zeneli, gli artisti italiani Gabriella Ciancimino, Luca Gaddini, Fabrizio Cotognini e molti altri.
In particolare, gli artisti riflettono sulle modalità di registrazione e rappresentazione degli avvenimenti, della realtà “controllata” e rielaborata nei suoi molteplici aspetti, com’è effettuata dalla pervasiva tecnologia dei mezzi di comunicazione di massa.
Una riflessione sul processo di crescente assimilazione della visione da parte della tecnologia, che diventa sostitutiva rispetto alla realtà, rompendo la storica dialettica fra reale e rappresentazione, e trasformando l’esistente in visione tout court.
Varie forme espressive e vari registri, dal cinéma verité al reportage lirico, pittura, fotografia e soprattutto video, che in mano agli artisti in mostra esibiscono la loro aderenza all’esistente, dimostrandosi in grado di far luce sui meccanismi che regolano la produzione di senso, imponendo una riflessione che riguarda allo stesso tempo la produzione di immagini e il ruolo dell’artista nella società contemporanea.
Le opere esposte sono accomunate da una visione “laterale”, finalizzata alla restituzione della complessità della realtà e alla soggettività della percezione, opposta alla semplificazione, alla spettacolarizzazione del dolore e all’univocità del punto di vista imposto dai media e dai generi ad essi connessi.
Dalla riflessione sulla manipolazione dei simboli a fini politici e del diffuso dominio economico effettuata da Santiago Sierra all’analisi dei parametri “liquidi” dell’identità contemporanea di Edson Luli, Luca Gaddini e Aníbal López (A1-53167), all’esperimento dei limiti fra reale e utopia dell’artista albanese Driant Zeneli.
Nutrito il drappello delle opere che restituiscono al corpo la centralità di strumento espressivo e luogo del conflitto, sulla scorta dell’esperienza della body art e della performance storica, come testimoniano i lavori di Regina José Galindo, di Maria José Arjona, del collettivo Democracia e di Ivan Moudov; rientra in questo novero anche l’opera del curdo Hiwa K, Moon Calendar.
Gabriella Ciancimino rielabora le convenzioni socio-culturali connesse alle mappe, così come Fabrizio Cotognini, mentre i disegni di Sandra Vásquez de la Horra infrangono i parametri della razionalità per dar forma al rimosso collettivo e all’antifunzionale divenuto tabù nella nostra società.
Un’arte che torna a essere politica nel senso pieno del termine, perché scardina lo status quo e mira a incoraggiare lo sguardo critico e trasformare il linguaggio espressivo e comunicativo di questa civiltà mediatica connessa senza sosta.