Nella complessità di un’epoca, dove lo spazio museale ha assunto anche il valore di “localizzazione ultima dell’esperienza umana” testimoniata e narrata da oggetti portatori di “storia” e di “storie”, va superata la pretesa di ricondurre la pluralità dei punti di vista, degli approcci e delle esperienze ad una sola narrazione.
A tal fine la produzione artistica di ultima generazione diventa la base per una nuova conoscenza sensibile del museo (estetica museologica) fondata essenzialmente sul lato performativo di un rinnovato dialogo sinestetico tra antico e contemporaneo, dove la teatralizzazione della relazione risulta centrale.
In un periodo così difficile e denso di incertezze, i Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi intendono guardare al futuro con speranza e lungimiranza, sollecitando intelligenza di analisi, spirito critico, creatività e innovazione. Superare le sfide del momento significa non solo ripartire con rinnovato impegno nell’espletamento delle funzioni essenziali del museo, ma anche sostenere lo sviluppo del contemporaneo, individuare e sperimentare codici inediti, affinare percorsi inusuali rigenerando il rapporto con il pubblico e la comunità.
Con tale spirito l’istituzione maceratese ha abbracciato il progetto artistico The Flying Dutchman di Fabrizio Cotognini, pensato e realizzato per rivalutare la relazione tra arte contemporanea e spazio museale in chiave partecipativa e relazionale, abbattere e superare i confini tra generi, specie, discipline e linguaggi, con l’obiettivo di creare “nuove linee di visione”, dove l’opera non si configura solo come “prodotto”, ma come un’esperienza che “testualizza gli spazi e spazializza i discorsi”.
L’istallazione, ispirata all’Olandese volante, innesca un cortocircuito con le consuete modalità espositive al fine di «re-immaginare il museo come un agente attivo, calato nella storia”, che “pone domande e articola un dissenso creativo». Ne deriva una nuova narrazione, reale o mentale, che si forma dalla disseminazione e dalla vicinanza di opere appartenenti a percorsi e contesti immaginativi diversi.
La ricerca dell’artista dilaga nello spazio, trasborda la superficie della rappresentazione e si appropria anche della “cornice”. Avanza e ingloba i tradizionali strumenti espositivi: le vetrine diventano esse stesse forme d’arte, sia nella fluttuante rappresentazione delle navi-fantasma sia quando le stesse si rivestono di specchi per riflettere i fasti tardo barocchi della maestosa Galleria dell’Eneide, dove la visione che si frappone tra l’occhio e l’oggetto diventa in qualche misura meta-rappresentazione [cat.]. Cotognini costruisce un impianto scenico emozionante e raffinato nel calare i suoi disegni nella collezione permanente e apre il sipario al tema della sua ispirazione [cat.]. Trasforma anche la grande loggia in un immenso spazio marino, dalle cui acque il capitano-visitatore “redento” riemerge. Per far questo “assolda una ciurma” di maestri d’arte chiamati a tradurre le sue visioni in oggetti narranti, ed è proprio in questa perizia artigiana che affondano le radici della sua volontà creativa, sostenuta non solo dall’esperienza, ma anche dalla formazione culturale acquisita.
Se The Flying Dutchman di Cotognini sembra innescare un sistema di riferimenti complessi, gli spazi museali costituiscono «materia e sostanza irrinunciabile dell’installazione […]. Una relazione indissolubile, quella tra contesto espositivo e installazione che, al di là degli aspetti critici che propone, rappresenta davvero il nodo cruciale di ogni riflessione». Qui il tempo sembra scandito da un diapason che procede interminabilmente verso un modulo allungato e suggerisce nuovi spunti poetici, filtra e misura le intensità della luce e del colore dove confluiscono i significati e i tempi di cui sono portatori i singoli elementi che compongono l’opera.
In queste stratificazioni spazio-temporali si manifesta, seppure con orientamenti mutevoli e con forme variabili, l’eterogeneo immaginario archeologico dell’artista popolato da personaggi stappati alla storia, da forme animali e da elementi vegetali sottratti alla natura [cat.]. Da questo punto di vista è un destrutturatore di tracce culturali e di condizionamenti percettivi agendo su di essi con la propria genialità.
Così fa con la sequenza di 12 miniature antiche rivitalizzate e allestite come in un retablo laico fatto di osservati e osservanti. I ritratti si mescolano con il vocabolario immaginifico di Cotognini e diventano occasione per annotare le tracce del suo pensiero trasfigurato da vetri colorati in una scala cromatica che oscilla tra il giallo e il blu [cat.].
Ha sparso semi su un terreno fertile facendo germogliare nuove visioni e articolazioni espositive, là dove si fronteggiano tendenze artistiche di epoche diverse. Non ha inteso esaltare i nuovi orientamenti dell’arte, bensì ha voluto creare un rapporto più dinamico con l’osservatore in virtù dei nuovi schemi concettuali ottimizzati e collegati fra loro con metodo.
Mosso da un’analisi straniante, gli è bastato rompere le barriere canoniche che separano le diverse forme d’arte e mescolare, o almeno avvicinare, le loro definizioni teoriche intervenendo come fa quando ripropone incisioni e miniature antiche da lui destrutturate, manipolate e attualizzate [cat.].
Nel minuzioso percorso allestitivo l’artista annette anche l’opera di Osvaldo Licini, acquisita dal Comune nel 1966, ponendola in dialogo con la sua interpretazione de L’Olandese volante [cat.]. L’opera liciniana, indicata con le diverse denominazioni Luna che si specchia, Paesaggio 2 o Personaggio 2, nonché Amalassunta, raffigura un paesaggio collinare sovrastato da un cielo notturno blu cobalto dominato da un grande corpo celeste, simile alla luna. Al suo interno, quasi come prolungamento di una scia luminosa di colore bianco, spicca una coppia di lettere. Il richiamo all’interpretazione liciniana de L’Olandese volante manifesta l’aspirazione a trascendersi e a giungere al cuore della creazione [cat.].
Il continuo confronto con le testimonianze del passato innesca in lui la consapevolezza dell’importanza della materia, la maestria esecutiva e l’attenzione alle modalità espositive. Il suo lavoro è il risultato complesso di un pensiero che spazia dalla sociologia alla filosofia, dalla storia all’arte classica e contemporanea. Ma è anche un attento saper fare che si traduce nel desiderio di inglobare la perizia artigianale nei suoi impianti.
Sollecitando senza limiti la tecnica e la materia alle necessità di una visione profondamente spirituale, ogni suo disegno o lavoro si trasforma in un avvolgente e appassionato campo di forze psicologiche, espressive, relazionali.
L’Olandese volante è una leggenda che attrae e fa riflettere, sospesa tra fantasia e ispirazione creativa, stimola l’immaginazione di molti artisti a produrre contenuti di vario genere. Ha suggestionato pittori e scultori, romanzieri e musicisti, ad essa si sono interessati anche la fumettistica, la TV, lo sport e i videogiochi sotto l’egida di una seduzione demiurgica suggestiva e affascinate. L’Olandese volante di Cotognini è una favola sulla favola, una collezione nella collezione, dove riverberano pensieri, emozioni e sentimenti, che sono la fonte del suo istinto creativo. In ogni lavoro si scoprono i segni tipici delle sue riflessioni che salpano, si specchiano e approdano a nuovi slanci creativi, le cui forme restano circoscritte tra il tempo eterno e quello terreno, tra illusioni e realtà, tra tempesta e quiete. Ne è protagonista l’uomo, colui che con la sua sensibilità e il suo talento è capace di sentire e tradurre le vibrazioni della materia, sublimarle e trasferirle nel mondo extrasensoriale, là dove nessuno può rimuoverle perché ormai hanno assunto un’entità assoluta, quella del pensiero. Esercizio, studio, sensibilità, capacità intuitive oltre che di profonda analisi e sintesi, fanno scattare l’immagine di un artista che si muove sui binari polisemici della comunicazione che sanno coinvolgere il lettore-osservatore in uno stimolante processo di decodificazione critica e interpretativa.
La mostra, allestita all’interno di Palazzo Buonaccorsi dove il mito è leggenda, non poteva trovare uno spazio di visione più idoneo ad avvicinare tradizione e modernità, immagine e immaginazione.