Uno stereoscopio. È forse questa l’immagine più appropriata per intuire l’universo artistico di Fabrizio Cotognini, che lascia emergere in termini progressivamente ottici l’esperienza del tempo. Il tempo si fa umano nella misura in cui è espresso secondo un modulo figurativo, e l’espressione figurata raggiunge la sua piena significazione quando diventa condizione dell’esistenza temporale. Dunque, come nella visione stereoscopica, così, in questo approccio, si necessita di due immagini, di una doppia presa sull’oggetto, per vedere qualcosa dispiegarsi nel tempo. E non si commetta l’errore di credere che uno sguardo sfaccettato non conduca a verità alcuna, la molteplicità dei piani, al contrario, conferisce spessore, assicurandole il rilievo nella simultaneità delle sue immagini - nessuna delle quali pretende per sé maggiore giustezza, essendo ognuna involta nelle altre. Il fare artistico assume profondità attraverso ciò che nasconde, la sua binocularità consiste nel saper mantenere un occhio aperto sul visibile nel mentre l’altro percepisce l’alone invisibile.
Le opere di Cotognini sono il palcoscenico ove il tempo, inteso come quarta dimensione che sorregge le altre tre, non può prescindere dal rendersi visibile: manifestano il nodo che avvolge spazio e tempo, permettendo di leggere l’uno nell’altro. Le parole, le sfumature, le strutture, le figure e le mappe che agli occhi profani possono apparire solo come frammenti, grafie o geometrie instabili e volubili, prendono vita e parlano, raccontano da dove vengono, fanno sentire con forza tutta la suggestione che sanno indurre sull’osservatore. Accade come in una meravigliosa rappresentazione scenica che poco alla volta dispiega un effetto prodigioso che il regista aveva tenuto celato dietro le quinte: senza alcuna apparente logica, le opere inaspettatamente si illuminano, si colorano, si animano, vengono percorse da segni che innescano un’immaginazione fenomenale, ritagliano immagini e architetture e le innestano le une nelle altre, creando una fantasmagoria prodigiosa. Gli stimoli visivi fanno vibrare l’immaginazione, il senso di sorpresa cresce e alla fine tutti gli elementi fantastici si saldano in un caleidoscopio di colori, di forme, di fascinazioni e di storie che si rendono visibili dopo essere rimasti a lungo invisibili nella regione dell’oblio. Non si parla mai di singole immagini isolate, ve n’è piuttosto una simultaneità intermittente, raccolta sotto uno stesso nome, a comporre un’identità. C’è ben altro di una reviviscenza del tempo: ogni essere, ogni luogo, sono sottoposti alla forza centripeta del tempo che ne fa percepire soltanto i frammenti. Ri-conoscerli ha il carattere di una scoperta, addirittura di una creazione, perché nel caleidoscopio di Cotognini un ordine è possibile, proprio come l’intuizione di un’immagine unitaria.
Provando a risalire a un’unità attraverso un particolare frazionato, ci si accorge che dall’incontro tra la realtà penetrata con l’osservazione diretta e la realtà composta lungo la linea del tempo prende forma una terza realtà in grado di produrre ri-conoscimento di una terza cosa, di una nuova immagine, che si distingue come unica figura di rilievo grazie alla distanza tra le altre due. Così inteso il ri-conoscimento non è mera riproduzione, bensì processo di ideazione ex novo: la processione di immagini che emerge, il travaso di immaginazione dagli angoli più remoti, il numero infinito di storie, con tutti i mezzi possibili, si ri-conoscono essere comuni al passato e al presente, e dunque extratemporali, perché in essi affiora la veduta dell’universo situato nella prospettiva deformante del tempo. L’occhio che permette questo ri-conoscimento è puntato sul tempo, simultaneo, piuttosto che in successione.
Non è dunque l’uomo a contenere il tempo ma viceversa, ecco perché ri-conoscere, svincolandosi dalla somiglianza, anticipa e invera il senso ultimo del tempo, facendone sentire anche la portata del non percepito e svelandone la struttura discontinua. Cotognini trasmette un senso di bellezza e di forza, appare come un dispensatore di vita e di energia, orditore di trame tra immagini frammentarie che si danno in maniera indiretta, negandosi in quanto enti, e nulla hanno a che fare con l’ordine scandito dai loro nomi. È come se il darsi delle cose dissimulando la propria forma portasse a un riconoscimento più insistente di quanto l’ordinaria conferma ottica riesca a fare. È coraggioso quando sceglie di non ridurre il reale a una presunta totalità e ricerca - e trova - il proprio senso nell’incontro con il mondo, reso possibile solo se nulla si consacra definitivamente. Ecco allora che la decisa verticalità che connota le sue figure, le sue architetture e le sue grafie rimanda specificatamente a quella simultaneità temporale in cui è rintracciabile il termine medio che salda la soluzione stilistica alla soluzione ottica. La simultaneità è dunque da assumere come il comune denominatore tra l’espressione figurata e la visione stereoscopica del riconoscimento: in entrambi i casi si tratta di vedere, e pensare, allo stesso tempo, sotto un’unica denominazione, due cose - in apparenza - distanti. A noi uomini, esseri kosmoteoretici per natura, bisognosi di totalità e animati dalla speranza di una visione panoramica dell’infinito che temporaneamente abitiamo, Cotognini offre la possibilità di intuire immagini unitarie attraverso l’allontanamento dal modello, anziché la sua somiglianza. Del resto, non possediamo che visioni informi e lacunose, che completiamo con idee arbitrarie, creatrici di suggestioni pericolose. E se è vero che ogni osservatore, quando osserva, è osservatore di se stesso, perché l’opera è solo uno strumento ottico, allora queste opere sono immagini singolari di qualcosa di noto, diverse da quelle che si è abituati a vedere. Singolari eppure autentiche, e doppiamente avvincenti, perché stupiscono, fanno uscire dalle consuetudini e fanno tornare in sé ricordando un’impressione. E ci stupiamo quando, anziché il mondo immaginato, ci troviamo davanti il mondo visibile che lui, Fabrizio Cotognini, crea e contamina, con la sua lanterna magica, sfumando i confini di immaginazione e percezione, privando ogni sagoma del proprio carattere puntuale e raddoppiandola, continuamente, con un alone fantasmatico.