Fabrizio è in primis un grande studioso e la sua propensione per la cultura e per la storia della cultura è un istinto naturale. Mai pago e bruciante di curiosità, l’artista studia, colleziona, ricerca e cerca situazioni immersive che gli permettano di capire sempre di più e sempre più a fondo. Egli è sempre impegnato ad aumentare la sua conoscenza per completare la sua visione; ecco perché combina elementi diversi: autori classici e bestiari medievali, miti, basilischi, idre e draghi, il teatro e la scienza, l’arte e la musica.
Fabrizio attinge da essi gli elementi necessari per caricarsi di energia; con essi costruisce le proprie opere e genera la propria arte.
In secundis, Fabrizio è un abile disegnatore, dal tratto nitido, preciso e rapido.
Ma abilità e conoscenza, sebbene indispensabili per l’arte, non sono sufficienti; proprio non bastano. C’è bisogno di qualcos’altro, è necessario andare oltre.
Un conoscere che consista semplicemente nell’accostamento momentaneo del nostro intelletto ad un soggetto esterno ad esso non è né buono né sufficiente; la conoscenza, se vissuta come pura erudizione, rimane improduttiva. È necessario che il nostro intelletto si impadronisca realmente delle cose conosciute e ne faccia cosa propria, annettendole allo spirito cosciente come suo patrimonio inalienabile. Un conoscere che lasci inerte le altre facoltà umane è difettoso e, se non è accompagnato dal fare, appare elusivo ed insufficiente alla sete dell’uomo o alla sua completezza.
La conoscenza va distinta dalla pura erudizione che rimane improduttiva.
Cosi ogni singola carta scritta rischia la solitudine quando è fine solo a sé stessa, ne consegue l’impoverimento dell’uomo. La cultura è anima e sente la necessità di animare; essa produce e genera un flusso continuo, una corrente vitale che porta l’uomo a valicare ogni barriera. La cultura infiamma lo spirito dell’artista.
Il Big Ben accade in biblioteca: il lettore prende tutto dalle pagine scritte e dai ripiani polverosi: polvere vitale, elementi della tavola periodica esiti di vite passate, miti, leggende popolari, personaggi storici, filosofi e scienziati del passato. Eccola d’un tratto la palingenesi.
Questa volta è il rauch umano (parola ebraica che significa vento o spirito come nella Genesi) ad animare il passato e dargli una nuova lettura.
I disegni, le incisioni e il lavoro di Fabrizio non sono pure trasposizioni di questo bagaglio di conoscenze e informazioni. Anche lui sicuramente si è trovato di fronte al mistero dell’arte e da artista sa che per innovare bisogna stare in guardia. I suoi lavori sono la visualizzazione di un percorso biografico e culturale di un uomo che si trova di fronte a grandi interrogativi ed altrettanto grandi risposte, cercando la sua personale posizione attraverso la lente della contemporaneità. La vera necessità della conoscenza è quella di avere una linea di partenza: lo sprint, la fatica del percorso e la meta sono personali ed uniche.
I suoi disegni si presentano chiari all’osservatore per conoscenza ed abilita artistica, creando un forte impatto visivo. Essi sono pronti ad un dialogo sia con l’osservatore che con l’ambiente circostante. Le opere si relazionano con il primo, mentre i personaggi delle opere sembrano più interessati al secondo.
L’artista sviluppa quotidianamente questa dinamica spazio-temporale.
Il gesto di condivisione delle sue opere è quello di una mano tesa, pronta ad accompagnare e catapultare in un mondo generoso che frantuma le divisioni tra presente e il passato, introducendo una dimensione che forse non è del tutto nuova. È come ritrovare il nuovo ed il vecchio nelle nostre città: una prassi, una abitudine. I palazzi in cui viviamo, di più recente costruzione, hanno come cantine i basamenti millenari di costruzioni precedenti.
Questo significa affidare all’arte un compito di archeologia o di memoria? Non esattamente, significa molto di più e forse risponde meglio alle caratteristiche dell’impegno costante e produttivo.
Un presupposto che ha bisogno di un seguito: a volte superfluo, altre necessario.
Cotognini rende nitido e visibile ciò che, per me, appare arduo e difficile da raccontare o scrivere.